di Maria Laura Vanorio
Scegliere un libro per un concorso in cui si cimenteranno gli studenti liceali non è mai un’impresa facile. Ogni volta che ci riuniamo o semplicemente discutiamo dei cosiddetti libri da far leggere i pareri sono quanto mai discordi e sul piatto della bilancia il gusto personale o il valore estetico devono sempre essere cautamente ponderati con l’utilizzazione (brutta parola, ma tant’è) che se ne farà in classe. In altri termini va da sé che ogni professore sceglie continuamente i testi da far leggere ai propri alunni e che questa scelta presuppone un’idea di letteratura e di metodo da applicare per l’insegnamento, ma la questione diventa per forza di cose ancora più complessa se ci si muove nei territori scivolosi del contemporaneo dove gli strumenti critici dei letterati si scontrano spesso con le strategie editoriali (del resto ho sempre pensato che potrebbe essere utile e divertente far capire ai ragazzi che dietro un libro c’è un percorso complesso di scelte e interventi, naturalmente non solo dell’autore, che riguardano la filologia dei testi, ma anche un’infinità di altri elementi: grafica, foto, colori…)
Ho conosciuto il libro di Paola Soriga, Dove finisce Roma, Einaudi 2012 grazie a una recensione. La madrina del caso, Concita De Gregorio1, ha fatto bene il suo dovere: poche ore dopo aver letto le pagine culturali de «La Repubblica», ho comprato il libro. Forse perché da ragazzina ho avuto un’insana passione per i romanzi resistenziali, forse perché ogni anno da prof. il mio programma di quinta si chiude con la prefazione di Calvino al Sentiero dei nidi di ragno. Sì, perché lì c’è già tutto, in poche pagine ecco sintetizzato l’imperativo di una generazione che aveva bisogno di prendere posizione e di dire la sua, di far capire alla maniera di Vittorini chi era uomo e chi no. E, infatti, quella stagione ha regalato un’incredibile mole di romanzi che connotano in maniera inequivocabile un buon ventennio di produzione letteraria con modi e ricerche espressive che non staremo qui a sciorinare. E allora cosa può esserci dopo? E ancora cosa spinge un nutrito gruppetto di giovani narratori (classe 1978-80) a ripercorrere le storie dei nonni e non solo in Italia?2 Ovviamente venuto meno il patto fondamentale della narrazione, quella che per Adorno era “l’identità dell’esperienza”, è chiaro che i giovani narratori si sono formati per così dire sui classici. Hanno percorso distanze siderali per ritrovarsi a lavorare sulle pagine di chi li aveva preceduti per imitarne anche lo sperimentalismo linguistico.
Ma veniamo a noi o meglio al libro di Paola Soriga perché qui l’io narrante, Ida, compie un viaggio: Sardegna-Roma che la porterà, suo malgrado, (le vie dell’amore sono infinite) a diventare staffetta partigiana e sceglie di vivere proprio dove la città finisce in uno spazio che non è Roma o forse non lo è ancora (l’autrice ne ha parla spesso nelle sue interviste) in cui prenderà forma la sua nuova vita e la sua possibilità di raccontare, seppur eclissata nel buco cui la costringe la latitanza. In quel buco, infatti, in un tempo continuamente franto prendono corpo i ricordi recentissimi di una ragazzina: la grande storia dell’Italia, di via Rasella, degli uomini e no e le piccolezze della microstoria di una bambina (anche qui non si contano gli antecedenti letterari). Eppure dalla prima all’ultima pagina di questo monologo spezzato (naturalmente “Erlebte rede” per i prof.) si avverte il tono di una nostalgia, di una melancolia per un agire, un fare che sembra impossibile, non tanto a Ida chiusa nella sua grotta, quanto piuttosto a noi. E quindi dove finisce Ida comincia Paola Soriga e ringraziando nell’ultima pagina del suo libro parla di un debito: “Grazie a quelli che hanno voluto raccontare la Resistenza, i cui lavori sono alla base di questo romanzo. Soprattutto grazie a chi l’ha fatta e a chi la fa ancora”. In bell’ordine i modelli: i libri e le azioni. Perché forse senza i primi non riescono a esserci le seconde. Un bel modo per chiudere anche quest’anno il programma e sono arrivata al 2013!
1 C. De Gregorio, La resistenza raccontata da una ragazza di oggi – La storia ritrovata, in «La repubblica», 7 marzo 2012.
2 Si veda in proposito l’articolo di D. Galateria, Perché i ragazzi raccontano la Resistenza, in «La repubblica» 4 novembre 2012 dove si propone al lettore curioso una carrellata di giovani autori che hanno scritto di resistenza: oltre alla Soriga anche Aldo Cazzullo, Valerio Varesi, Giacomo Verri e qualche puntata europea con Didier Daenickx e Yannick Haenel.